Silvia Paradela
« La soglia è il limite, la frontiera che separa e contrappone due mondi, e il punto paradossale dove questi mondi comunicano, dove il passaggio dal mondo profano al mondo sacro può verificarsi…»
Mircea Eliade, Il Sacro e il Profano, 1956
I dizionari traducono«Umbral» con il termine italiano di «soglia». La soglia è da sempre un luogo sacro, un luogo di ombre, dove luce e oscurità si incontrano. Allo stesso tempo limite e passaggio, rappresenta sincronicamente una soluzione di continuità e un punto d’unione. Lungo questo crinale si sviluppa da sempre il lavoro di Silvia Paradela, artista nata in una terra delimitata dai fiumi: nella provincia di Entre Ríos, in Argentina. Da questo luogo lontano si sprigionano il pensiero e il sentire dell’artista, al di là delle correnti dei fiumi, del fluire di un’energia che Silvia cerca di catalizzare all’interno delle sue opere. Opere che si configurano nient’altro che come un’ennesima soglia all’interno della nostra percezione del reale: una mediazione tra quello che ci pare di vedere, pensare, capire e questo flusso incontrollabile che a volte investighiamo, a volte lasciamo recluso al di là dei confini. Il tentativo involontario di queste linee che sembrano aspirare verso l’alto, ma che quasi mai lo raggiungono, e nel caso ci riescano si trovano di fronte ad un ultimo definitivo umbral: quello tra il foglio e il cosiddetto mondo reale.
Paradela, non è legata ad alcun movimento o gruppo artistico da quando nel 1991 lasciò Grupo Patagonia per trasferirsi definitivamente in Svizzera. È forse anche questa scelta a consentirle la speciale libertà di lasciare da parte ogni discorso sull’evoluzione estetica, insieme con l’ossessione esasperante della contemporaneità, tanto cara ad alcuni artisti. Alla base di questo percorso si situa una forte concezione di unità. I termini di questa unità definita da soglie sono l’anima e il corpo, la mente e il mondo circostante ordinati nel cosmo, nonché le dimensioni temporali che si affiancano e si sovrappongono. Nell’umbral siricerca appunto un riflesso di questa unità. Un equilibrio magico che solo in quel preciso istante si può trovare. Una verità che non può essere scorta nel buio, prima che la porta venga aperta, ma che allo stesso tempo non è la mera rivelazione della luce, che impedirebbe al buio stesso di esistere. Si tratta di una soglia intesa come un momento unico, misterico, fragile di opposti che convivono in un attimo incostante fatto di leggerezza e profondità.
Queste ultime sono le caratteristiche costitutive date dalla difficoltà di realizzare un’impalcatura capace soltanto di stare in piedi da sé, senza alcun fine, né alcuno scopo costruttivo più concreto se non quello di rimanere a cullarsi nella propria radiante ombrosità.L’artista vuole rispecchiare nel suo lavoro un pensiero, una riflessione, uno sguardo che definisce un compromesso tra l’individuo e il mondo, compromesso caratterizzato da una costante apertura nei confronti dei diversi linguaggi espressivi: « La mia strada in tanti anni si è arricchita seguendo i maestri che mi hanno segnata con la ricchezza di un linguaggio estetico, ma anche filosofico e spirituale. Il legame con la mia origine, con il cosmo, con l’universo, è il tema permanente del mio lavoro, che cerco di sviluppare con coerenza e in solitudine.
Ho conosciuto l’opera del Maestro Simone Sorini quasi per caso, la sua musica ed il suo canto hanno accompagnato la nascita dei miei ultimi lavori. E non per caso, ma per scelta, ho pensato che poteva nascere una collaborazione, una comunione tra la musica e l’immagine. Da qui la mia proposta che una mia mostra personale al Torchio di Sonvico potesse essere accompagnata dalla bellezza del canto e della musica antica».
Davide Morandi, ottobre 2016